Antichità
Non si ha notizia della presenza di un insediamento umano, nell'odierna Scafati, durante la prima età del ferro (IX-VII secolo a.C.); in base ad alcuni scavi eseguiti nella valle in epoche diverse si ha motivo di ritenere che la popolazione del protostorico, nel corso del proprio dislocamento lungo il Sarno, non si insediò nell'area che oggi appartiene al comune di Scafati, anche se una citazione dell'Eneide identifica i "sarastra" come abitanti dell'odierna Scafati. La ragione è da ricercarsi nel fatto che il primo nucleo abitativo di Pompei era stato fondato da genti osche dedite al commercio più che all'agricoltura. Il fiume Sarno era il naturale tratto d'unione fra la costa campana e il suo entroterra; su di esso già dai tempi della civiltà osca, correvano le imbarcazioni mercantili. I primi segni di attività economica nel territorio di Scafati si ebbero sul fiume prima dei campi. Due avvenimenti politici segnarono l'estendersi dell'agricoltura verso Scafati: il primo fu conseguenza della politica commerciale di Napoli che orientò le proprie attività verso il retroterra vesuviano, il secondo va collegato a un fenomeno di riversamento dei sanniti più poveri delle montagne verso zone rimaste scoperte. Durante le guerre sannitiche Roma legò Nocera ai suoi interessi economici e militari mediante un patto federale, grazie al quale il territorio della confederazione nocerina sarebbe rimasto esente da ogni influenza di legislazione romana, insomma, in piena autonomia economica e amministrativa.
Aldilà di leggende e dicerie, la città, come spesso accadde a località sorte sulle rive di un corso d’acqua, prese il nome da Scaphatum, cioè da quello che una volta assumeva il fiume Sarno nell'attraversare il territorio dell’odierna Scafati; forse perché in quel tratto le sue acque diventavano sensibilmente più calde (nap. scarfato, ‘riscaldato’). La città, chiamata sino al Settecento perlopiù col suo nome italiano volgare di Scafatta (infatti in castigliano era Scaphata), vedrà poi nell’Ottocento prevalere definitivamente quello suo latino originario di Scafati, o meglio di ciò che resta di vicus Scaphati(‘il borgo del fiume Scafato’). Ecco infatti quanto per esempio si legge in un’antica cronaca della guerra che, a partire dal 1132, Ruggiero II di Sicilia portò in Campania al conte Rainulfo d’Alife a e Roberto di Capua, potenti feudatari normanni che non lo volevano accettare come loro nuovo re:
… Cum ergo ad fluvium Sarni, ubi Scaphatum dicitur, pervenissent…
… Deinde turris, quae erat in praefato flumine, quod Scaphatum dicitur, continuo turricolis…
… Quam ob rem comes Ranulphus, non pauco costipatus numero galearum, ad praememoratum Scaphatum pergit…
Fonte: Alexandri abbatis telesini, Rogerii Siciliae regis rerum gestarum libri quatuor in Giovambattista Carusio, Bibliotheca historica Regni Siciliae sive historicorum etc. Tomo I, libro II, pp. 272, 279. Palermo, 1723.
Eruzione 79 d.C.
Il territorio pompeiano continuò a godere dei benefici della feracità del suolo e la popolazione a fruire delle conseguenze degli intensi scambi commerciali con le altre regioni italiche, finché il terremoto del 62 e l'eruzione del 79 vennero a turbare una vita fondata sul lavoro e sull'agiatezza. Nella storiografia locale, tutta la campagna dell'Ager Nucerinus viene associata alla stessa sorte delle campagne pompeiane, ma in realtà le cose dovettero andare in altro modo. Infatti i ritrovamenti nella zona dimostrano che essa costituì una via di scampo, dove, chi era riuscito a salvarsi ha potuto rifarsi una vita.
Medioevo
Quindi la vita economica riprese a dispetto di ogni difficoltà, e la produttività agricola crebbe al punto di destare le mire dei duchi napoletani a partire dal VI secolo. La valle continuò a gravitare nell'area bizantina, finché, nel 601, Arechi, duca di Benevento, l'occupò dopo feroci devastazioni. Nel 652 Sarno passava sotto la dominazione longobarda. Il corso del fiume Sarno cessò di essere la linea di delimitazione tra i due principati. Fu così che il territorio di Scafati rimase ancora assegnato al Ducato di Napoli, ma la separazione fra i due stati non garantiva una pace sicura alle popolazioni poste lungo la linea di confine. Infatti, alcuni mutamenti politici portarono alla ridefinizione dell'assetto territoriale e dall'anno 848 il territorio di Scafati entrò a far parte della valle del Sarno, passando dalla dominazione bizantina a quella longobarda del principato di Salerno. Nel 1140 Ruggiero II divenne re di Sicilia e di Puglia. Ciò portò sicurezza nelle campagne, perché determinò la cessazione delle furibonde guerre combattute fra i conti e i principi. Il Catalogus baronum riporta notizia di un Signore a Lettere e di un altro a Nocera, e nulla più. L'assenza di altri baroni nella valle conferma l'ipotesi della demanialità della zona, che era sottoposta a particolare amministrazione per ciò che concerneva il rendimento dei terreni e la loro concessione, ma a nessuna soggezione politica. Quando quella terra si avviò a ridiventare coltivabile e una popolazione iniziò a fermarsi per lavorarla e abitarvi, fu donata a Riccardo Filangieri.
Estintasi la famiglia Filangieri, la terra di Scafati ritornò al regio demanio e segnatamente alla corona angioina. La nuova situazione non fu certo migliore: alla tolleranza degli Svevi si sostituì un'ostinata e crudele intransigenza che impedì all'Italia meridionale e alla Sicilia di raggiungere lo splendore che aveva cominciato ad annunciarsi sotto la caduta dominazione. La presenza di una monarchia stabile a Napoli, però, determinò miglioramenti nelle condizioni di vita nella città e un nuovo e più intenso rapporto con la vicina campagna. L'agro nocerino sarnese, si trovò così investito di più larghe e frequenti richieste di vettovagliamento, il che dette impulso allo sviluppo e all'incremento dell'agricoltura. Nel 1284, Carlo II d'Angiò concesse la terra di Scafati al monastero di S. Maria di Realvalle come un feudo nobile. L'abbazia tenne il feudo sino ad alcuni anni prima del 1355, quando la regina Giovanna I lo concesse al Gran Siniscalco del Regno, Niccolò Acciaiuoli. Da qui il feudo tornò nuovamente nelle mani dell'abbazia alla quale fu tolto definitivamente nel 1464 per donazione fattane da papa Pio II a suo nipote Antonio Piccolomini, liberatore della terra scafatese. Con quest'ultimo passaggio si chiuse la lunga serie di infeudazioni cui fu esposta la terra di Scafati.
Fine Medioevo - Epoca spagnola
Intorno all'anno 1532 si verificarono alcuni fattori favorevoli al miglioramento dell'economia agricola: ai terreni vulcanici fertilissimi, si aggiunsero quelli ricavati dalla riduzione dell'area boschiva, rendendo così possibile l'estendersi dell'area messa a coltura; furono impiantati opifici e mulini feudali in località Bottaro e fu aperta la strada regia, lungo la quale si intensificò il traffico commerciale. Erano i segni della nuova mentalità rinascimentale e dell'influenza economica e finanziaria della scoperta dell'America, seguita dal rialzo dei prezzi e dalla rivalutazione dei terreni. Scafati ne fu direttamente investita e così il suo territorio assunse un'importanza mai avvertita prima che la posizionò al centro dei commerci e dei transiti nella valle del Sarno, nel momento in cui i traffici si incrementavano e il passaggio delle merci sul fiume avvertiva un proficuo sviluppo. Questa situazione di benessere richiamò, sul posto più vicino al fiume, nuova gente, e avrebbe di lì a poco dato inizio a una floridezza economica senza precedenti, se il signore di Scafati non avesse modificato l'alveo del fiume, causando il disastroso impaludamento di buona parte dei terreni. Connessa all'incremento demografico ed economico fu l'estensione dell'insediamento urbano. Il centro storico, che ancora oggi viene chiamato Vitrare, cominciò invece a sorgere e a svilupparsi nella seconda metà del XVIII secolo. Infatti il fiscalismo spagnolo, la degradazione ecologica della valle da Scafati a Sarno, il calo della popolazione e le epidemie del secolo, non poterono certo incoraggiare uno sviluppo urbanistico.
Epoca di Masaniello
Nel biennio 1647-48 la valle fu teatro della guerra fra le forze popolari e quelle baronali come riflesso immediato della rivolta di Masaniello, scoppiata pochi mesi prima a Napoli. La sua caduta in mano alle forze baronali segnò l'inizio di un triste periodo di sottomissione alla volontà dei baroni. Un secolo e mezzo dopo, l'ideale rivoluzionario della repubblica partenopea, nell'Agro e a Scafati in particolare, ebbe vita brevissima. Le classi intellettuali rimasero indifferenti o volutamente estranee al movimento delle idee e non si lasciarono travolgere dai fatti. In questa zona la repubblica fu una ventata insignificante che non vide più rivivere l'ardore e il coraggio testimoniati dall'aspra guerra contadina del tempo di Masaniello.
Regno delle due Sicilie
Fu importante centro industriale tessile e dell'armeria sotto il Regno delle Due Sicilie. Infatti, l'allora re Ferdinando II istituì un polverificio e realizzò un'opera di rettifica del basso corso del fiume Sarno per il trasporto delle polveri da sparo dall'opificio verso il mare, intervento che risolse anche diversi problemi per la popolazione legati alle continue esondazioni del fiume. Inoltre, sempre sotto la reggenza di Ferdinando II, fu costruito uno scalo ferroviario sulla storica linea Napoli - Portici, la prima ferrovia d'Italia, quando questa fu allungata fino a Nocera Inferiore. Il Comune di Scafati è stato travolto nel 1707 dalla caduta abbondante di piroclasti del vesuvio insieme ai comuni di Striano, Torre del Greco e Boscotrecase. Danni alle coltivazioni, centinaia di feriti.
La Battaglia di Scafati
Durante la seconda guerra mondiale, in Italia molte piccole città non furono toccate dal conflitto. La città di Scafati era una di queste, finché un giorno una pattuglia britannica e una tedesca si scontrano nelle sue strade. In quel periodo Scafati era un piccolo villaggio di circa 3.000 abitanti che vivevano in vecchie case in pietra lungo strade strette e tortuose. Come oggi (2014) c'era il ponte di pietra che attraversa il fiume Sarno che divide la città in due. In periferia c'erano molte piccole masserie dalle quali dipendeva l'economia della cittadina.
Scafati quindi di per sé era un posto tranquillo, ma siccome si trovava sulla strada principale per Napoli, nei suoi vicoli stretti e tortuosi, i tedeschi avevano deciso di ritardare l'avanzata delle unità corazzate britanniche che erano penetrate attraverso le montagne a nord di Salerno. Verso le 11:00 del 28 settembre 1943, le pattuglie blindate inglesi si avvicinarono alla cittadina, muovendosi con cautela, attraverso le campagne. A sud della città furono fermati da alcuni abitanti alquanto esaltati, alcuni dei quali portavano fucili e indossavano bracciali con sopra cucite delle croci rosse. Altri possedevano delle bombe a mano che avevano rubato ai tedeschi. Si trattava del primo gruppo armato di resistenza del meridione d'Italia, il Gruppo 28 Settembre. Ipartigiani informarono il comandante britannico che il ponte davanti a loro era stato minato e assediato dalle mitragliatrici tedesche.
Il comandante britannico era Michael Forrester (31 agosto 1917 – 15 ottobre 2006), un giovane tenente irlandese con i capelli biondi e il volto rigato dal grasso, al comando del 1/6° del Queen's Royal Regiment, meglio conosciuto come i Topi del Deserto (Desert Rats). Egli ringraziò i partigiani della città e posizionò uno dei suoi carri armati all'altezza di una curva nella strada che portava in città. Nelle vicinanze della curva c'era il ponte. Il carro armato aspettò lì per un po' mentre un tommy (soprannome che gli inglesi davano ai propri soldati) salì in cima a una casa per vedere cosa c'era dall'altra parte. Il soldato tornò con la notizia che c'era un cannone anti-carro in piazza vicino al ponte e che era puntato su di loro. A questo punto un Bren gun carrier (piccolo veicolo corazzato cingolato inglese) si avvicinò e l'ufficiale decise di farlo ficcare il “naso di ferro” lungo la curva solo per vedere cosa sarebbe successo. Il veicolo avanzò lungo la curva e fu raggiunto da raffiche di proiettili di mitragliatrice. In tutta fretta ritirarono il “naso” del veicolo.
Nel frattempo, alcuni italiani si offrirono di guidare un piccolo gruppo di soldati britannici per la città ritornando poi attraverso il fiume. Sopraggiunsero molti veicoli mentre un gruppo di ufficiali e soldati si era raccolto dietro un carro armato per discutere della situazione. Faceva molto caldo, anche se era nuvoloso e si erano fermati per asciugarsi la fronte. In tenente colonnello prese un tommy gun (soprannome inglese del mitra Thompson) e portò con se due dei suoi uomini nella casa più vicina al ponte. Dal tetto, individuarono un cannone anti-carro e un carro armato Mark III vicino al ponte.
Aprirono il fuoco sui serventi al pezzo costringendoli a disperdersi. Anche il carro armato indietreggiò attraverso il ponte. A questo punto il tenente colonnello scese giù e ordinò di convertire la casa in un posto di osservazione. Nello stesso istante, una squadra mortai britannica si spostò iniziando a sparare lontano. Due soldati americani, S/Sgt. Don Graeber di Salt Lake City, e Pvt. John Priester di New York, erano seduti in una jeep a guardare il procedimento con molta attenzione.
I due erano lì per riportare indietro i prigionieri tedeschi per l'interrogatorio. Sembravano molto irrequieti e rimasero li seduti per circa quindici minuti poi si guardarono a vicenda, annuirono, scesero dalla jeep e attraversarono la strada in uno degli edifici da cui gli inglesi sparavano. Gli inglesi stavano avendo la meglio sui tedeschi, così i Jerries (soprannome inglese per i soldati tedeschi) andarono via dal ponte. Il ponte non era stato minato, come si era temuto, ma c'erano diverse scatole di esplosivo ad alto potenziale sparsi qua e là.
La battaglia si spostò così verso l'altro lato della città. Furono avvistati altri tre carri armati tedeschi mentre quelli britannici si preparavano ad affrontarli. Sul lato liberato del ponte, gli italiani stavano arrivando entusiasti dalle case trasportando frutta e vino. Attraverso il ponte la lotta era ancora in corso, ma i tedeschi iniziavano a soccombere. Intanto gli inglesi portarono su armature e attrezzature anti-carro a volontà ed anche la fanteria stava cominciando a muoversi.
Un gruppo di tre famosi corrispondenti di guerra, seguirono a piedi il corso della battaglia. Si fermarono in un angolo occupato dai vincitori. A quattrocento metri di distanza c'era un carro armato Mark III. Il Bren gun carrier li precedeva dietro l'angolo. Il carro armato tedesco fece fuoco. Il Bren gun carrier fu completamente distrutto e i tre corrispondenti britannici rimasero uccisi.
Gli inglesi risposero al fuoco e centimetro dopo centimetro, spinsero i tedeschi fuori da Scafati, in direzione di Napoli. Non appena l'ultimo carro armato tedesco lasciò la città, così iniziò a cadere la pioggia che ebbe una sorta di effetto rilassante sulla cittadinanza. Finalmente i tedeschi erano andati via, ma erano rimaste le cicatrici della battaglia. Quindi furono esaminati gli edifici in frantumi e i corpi straziati che si trovavano nelle strade. Poi i cittadini tornarono tranquillamente alle loro case per riprendere le loro vite da dove erano state interrotte.[4][5]
I tre corrispondenti di guerra che persero la vita erano Alexander Austin, Stewart Sale e William Munday.[6] Le loro salme, alla fine del conflitto, furono trasportate nel Salerno War Cemetery, uno dei più grandi cimiteri di guerrainglese, che si trova a Salerno sulla Strada statale 18 presso Montecorvino Pugliano. Il cimitero ospita le spoglie di 1653 inglesi, 27 canadesi, 10 australiani, 3 neozelandesi, 9 sudafricani, 33 indiani, 111 non identificati per un totale di 1846 militari caduti in Italia Meridionale.
I tedeschi spinti verso Napoli passarono per il comune di Poggiomarino dove, nella scuola in contrada Tortorelle, avevano allestito un ospedale militare per i feriti. Nel cortile adiacente la scuola vennero seppelliti i morti che successivamente, dopo la guerra, furono esumati e portati in patria.[7]
Oggi (2014) sono sempre meno i reduci della Seconda guerra mondiale, che prendono parte a due uniche ricorrenze: lo Sbarco di Salerno (nome in codice Operation Avalanche) e La battaglia di Scafati. Ogni anno tornano sui luoghi che li videro giovani e baldi soldati, guardando con emozione i campi di battaglia e il panorama di quelle montagne, nelle quali molti dei loro commilitoni del 1943 lasciarono la loro giovinezza, in una terra definita benedetta da Dio.